Il suicidio di Ousmane Sylla non farà cambiare idea al governo sui CPR

Un’ispezione straordinaria nel CPR di Ponte Galeria evidenzia di nuovo le condizioni disumane in cui sono detenuti gli immigrati “irregolari”, ma la destra continua a puntare sul modello dei lager gestiti da privati. Se è innegabile la responsabilità dei governi di sinistra nell’aver istituzionalizzato la disumanità in termini di “accoglienza”, il governo Meloni sta facendo un passo in avanti per moltiplicare un modello che isola, umilia e uccide.

 

di Pietro Forti (da MicroMega)

La cella dove Ousmane Sylla si è tolto la vita è chiusa ermeticamente come ogni luogo di detenzione. Niente esce da uno spazio come un CPR. Ogni tanto dalle mura dei carceri privati più disumani d’Italia esce una notizia: le condizioni igienico-sanitarie indegne, il trattamento vessatorio a base di psicofarmaci e percosse riservato a detenuti e detenute, le ultime strazianti parole scritte su un muro con un mozzicone di sigaretta. E una bara. Le indagini sulle condizioni dei detenuti sono sempre più frequenti. L’ultima è stata nella mattinata di mercoledì 7 febbraio, quando quattro consiglieri regionali del Lazio sono entrati nel centro di Ponte Galeria per un’ispezione straordinaria e hanno denunciato lo stato disastroso in cui versa il proto-lager. La destra al governo del Paese e di molte regioni italiane dove sono presenti centri di permanenza per il rimpatrio ne è consapevole, ma si sforza di ignorare ciò che esce dai CPR. Non li ha inventati (sono stati creati a fine millennio del centrosinistra e riformati più volte sempre da governi della stessa parte politica), ma ha l’intenzione di renderli la pietra miliare del sistema d’accoglienza italiano.

Da accoglienza a caccia – Non che la parola “accoglienza” abbia nulla a che fare con quello che la destra sta solo cercando di formalizzare, ovvero una caccia allo straniero istituzionalizzata. O, secondo la definizione legale corrente, detenzione amministrativa. Fino a 18 mesi. “I CPR sono uno strumento fondamentale per realizzare quello che è previsto dalla legge europea e nazionale, ovvero il trattenimento ai fini dell’espulsione delle persone che sono poi in condizione di irregolarità ormai accertata per quanto riguarda la posizione di soggiorno”, ha dichiarato in maniera burocratica Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, in visita alla prefettura di Perugia nella stessa mattinata di mercoledì 7. Una risposta recitata in maniera quasi scocciata, sentita già centinaia di volte. “Ci sono evoluzioni per quel che riguarda la progettazione e la concezione di questi siti, per renderli sempre più adeguati alla funzione che devono svolgere, rispettosi delle condizioni di permanenza delle persone”. Tradotto: i CPR oggi esistenti vanno bene così come sono, i prossimi saranno costruiti sul modello di un carcere di pessima categoria, pensato per un reato che non prevede processo.

Ponte Galeria, inferno privato – La realtà delle persone che arrivano in Europa passando dall’Italia è da tempo un calvario di inefficienza, disinteresse e sfruttamento. Oggi è diventato un imbuto da cui è difficile uscire. I più sfortunati, come Ousmane Sylla, finiscono in luoghi come il CPR di Ponte Galeria. Lo stesso 22enne guineano aveva chiesto di essere rimpatriato per prendersi cura dei fratelli, una volta compreso che qui lo attendevano solo sofferenze. Ma l’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea per i rimpatri e Sylla è morto nel centro di permanenza romano. “Il suicidio è stato l’ultimo spazio di libertà, l’ultimo estremo atto concesso nell’angolo della reclusione. Un atto di disperazione e allo stesso tempo di liberazione del recluso. Un atto di condanna per tutti noi, per le istituzioni, per quelli che restano liberi”.Così Claudio Marotta di Alleanza Verdi-Sinistra, uno dei consiglieri regionali del Lazio che ha preso parte all’ispezione straordinaria a Ponte Galeria. “Sono principalmente luoghi di attesa, che nel triennio 2018-2021 sono costati 44 milioni di euro per la gestione di soggetti privati dei dieci centri attualmente attivi in Italia”. La detenzione amministrativa, in quanto tale, non è regolata né gestita come la detenzione in carcere. Chi si occupa delle persone rinchiuse nei CPR lo fa vincendo un appalto e quindi abbattendo i costi. Come la multinazionale svizzera ORS (Organization for Refugees Services) che nel 2021 si è aggiudicata la gestione di Ponte Galeria. “Non è dato sapere il ribasso proposto da ORS Italia Srl sul prezzo di base d’asta, l’offerta non è stata pubblicata sul sito della prefettura”, aggiunge Marotta. Si può solo intuire sulla base delle esperienze passate. Come spiegato nel report pubblicato lo scorso giugno da Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili, Affare CPR, ORS aveva preso in gestione il centro d’accoglienza Casa Malala a Fernetti, in provincia di Trieste. L’offerta sui costi alimentari è molto bassa: 4,88 euro a persona al giorno per colazione, pranzo, cena e costo del personale. ORS gestiva anche il CPR di Macomer e quello di Torino, quest’ultimo chiuso dopo le proteste che denunciavano le condizioni disumane di detenzione. Per Ponte Galeria, Marotta e gli altri consiglieri hanno chiesto un incontro urgente alla prefettura di Roma. L’obiettivo a lungo termine è di chiudere i CPR.

Il passato, a sinistra – “Il ricorso alla privazione della libertà degli stranieri irregolari è senza dubbio lo strumento normativo privilegiato dal legislatore italiano”, continua Marotta, “di qualsiasi colore politico, per il controllo dei flussi migratori”. Come già accennato, i centri di permanenza per il rimpatrio non sono invenzione della destra. La prima legge sull’immigrazione è la Turco-Napolitano, correva l’anno 1998, governo Prodi I. Lo stesso dello speronamento della motovedetta Katër i Radës carica di migranti al largo di Otranto, 81 morti e 24 dispersi mai trovati. Con la Turco-Napolitano nascono i CPT (Centri di Permanenza Temporanea). Nel 2002 arriva la Bossi-Fini, la legge che ancora oggi regola l’ingresso di migranti “legali” in Italia legando il permesso di soggiorno a un contratto di lavoro. Mai riformata dal governo Prodi II o da altri successivi governi di centrosinistra, la Bossi-Fini è il volano per la riforma voluta dall’ultimo Berlusconi. I CPT diventano CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione). Sarà però un altro esecutivo di centrosinistra a farli diventare ciò che conosciamo oggi: con la legge Minniti-Orlando il governo Gentiloni fa nascere i CPR. A quel punto già è ampiamente noto che i centri sono un luogo dove i diritti vengono calpestati, ma la linea minnitiana (che porta anche ai primi accordi con la Libia) non lascia spazio a riforme. Anzi, il PD rilancia e il periodo di detenzione amministrativa si allunga fino a sei mesi. In quel momento è il massimo della “pena” mai stabilito per legge. Poi arriva il governo Meloni.

Il futuro, a destra – I centri di permanenza per il rimpatrio, come già detto, oltre a essere il passato e il presente sono anche il futuro dell’“accoglienza” in Italia. Il governo ha in programma di spostare l’hotspot dai riflettori sin troppo accesi di Lampedusa direttamente in Libia, così da spostare un’altra grande parte della gestione dei migranti al di là del Mediterraneo. Quel che rimarrebbe in Italia sarebbe la procedura “di frontiera”. Con il decreto Cutro e la volontà di abolire la protezione umanitaria, il governo ha già iniziato a sottoporre a una procedura accelerata di “asilo” chiunque arrivi in Italia da Paesi considerati sicuri. 28 giorni in cui la vita di una persona può diventare rapidamente un inferno. Lo scandalo, poi passato in secondo piano, sui quasi 5mila euro da pagare per evitare di essere detenuti durante questa procedura accelerata, non ha avuto seguito: oggi chi vuole arrivare in Italia paga, oppure rischia di finire in un tritacarne che può portare a una detenzione di 18 mesi in un CPR e a esiti come quelli visti a Ponte Galeria. Oggi l’unico modo di sfuggire a questo bivio è l’inefficienza della macchina burocratica italiana di fronte a un fenomeno mastodontico come le migrazioni. Ed è per questo che oggi ci sono “solo” mille detenuti in dieci centri. “Parliamo di mille poveri cristi su oltre mezzo milione di immigrati “irregolari” in Italia”, puntualizza Marotta. Il governo tira dritto, vuole costruire almeno altri dieci CPR e cercare di fare altrettanto fuori dall’Italia, come previsto dal controverso accordo con l’Albania. Per ora, si limita a far finta di non vedere morti e sofferenze in quelli che già esistono.

 

FONTE: https://www.micromega.net/il-suicidio-di-ousmane-sylla-non-fara-cambiare-idea-al-governo-sui-cpr/?utm_source=substack&utm_medium=email

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