L’immigrazione in Italia e noi

La FILEF, Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie, nasce nel 1967 con l’obiettivo di prestare tutela e sostegno agli italiani emigrati all’estero.

Da allora è trascorso oltre mezzo secolo e abbiamo assistito a una serie di trasformazioni, anche nel saldo migratorio, sul quale hanno pesato i flussi provenienti da tanti altri Paesi verso il nostro (saldo che per altro da alcuni anni, registra di nuovo una prevalenza di partenze di connazionali rispetto agli arrivi di migranti stranieri).

In particolare, la composizione prevalentemente giovanile dei nuovi flussi. Giovani altamente qualificati, come viene spesso sottolineato, ma anche fortemente depauperati sia economicamente sia culturalmente. Complici, una minore capacità della politica di aggregare e associare i nuovi migranti attorno a idee e progetti comuni e, ovviamente, l’innovazione digitale e tecnologica, che ha modificato le pratiche di socializzazione e relazione tra le persone, sia all’estero che nei luoghi di provenienza.

Contemporaneamente, i sempre più numerosi arrivi di  stranieri in Italia, rispetto ai quali le associazioni hanno cercato di costruire esperienze di accoglienza a livello locale. Una scelta che è avvenuta in modo naturale. Tutte le migrazioni rappresentano, infatti, il portato dello sviluppo ineguale e dell’organizzazione capitalistica del lavoro, oltre che il bisogno delle persone di sperimentare diverse opportunità di crescita individuale.

La presenza degli stranieri in Italia si è andata consolidando a partire dagli anni ottanta del secolo scorso e, purtroppo, è diventata subito terreno di propaganda politica da parte dei vari partiti di destra, alla quale non sempre la sinistra ha saputo contrapporre valori, letture e pratiche alternative.

La scelta di intervenire sulle problematiche delle migrazioni in senso complessivo è stata ampiamente ribadita e confermata nel corso dell’XI congresso, che si è tenuto a Reggio Emilia nel settembre del 2022. Nel documento di quel congresso, infatti, tra gli obiettivi da perseguire è indicata esplicitamente la costruzione di un uguale impegno sui temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.

Alcune strutture della FILEF presenti in Italia, particolarmente a Reggio Emilia e in Basilicata, hanno sviluppato interventi di notevole impatto. Ormai da molti anni, FILEF Reggio Emilia affianca alla missione storica di sostegno e di conservazione della memoria dell’emigrazione italiana all’estero, una consistente attività di sostegno rivolta agli immigrati di origine straniera che vivono in Italia; in particolare alle donne, ai bambini, alle persone analfabete.

Queste attività si svolgono nei comuni maggiori della provincia (oltre al capoluogo, Scandiano e Correggio) e sono spesso condotte in convenzione con le istituzioni pubbliche locali. In alcuni casi anche in collaborazione con altre associazioni prevalentemente del Terzo Settore.

La più rilevante per numero di fruitori (circa un centinaio di iscritti) è rappresentata dai corsi per l’insegnamento della lingua italiana, articolati per livello di conoscenza, ai quali se ne aggiungono altri di lingua madre rivolti ai ragazzi. Numerose sono anche le iniziative di carattere culturale e ricreativo, di promozione sportiva, di doposcuola per i bambini (una trentina), di formazione civica e di socializzazione.

Il filo conduttore di tutte le attività, rese possibili dall’impegno generoso di decine di volontarie e volontari FILEF, è la creazione e la gestione di esperienze utili a favorire la civile convivenza, la conoscenza reciproca, lo scambio interculturale, la solidarietà tra la popolazione locale e i “nuovi cittadini” provenienti da ogni parte del mondo.

FILEF Basilicata ha attivato interventi in favore degli immigrati già dal 2014, partecipando a progetti finanziati dal Fondi FEI e dai Fondi FAMI. Inizialmente le attività sono state orientate alla gestione di servizi in favore degli immigrati extracomunitari inclusa la sperimentazione di procedure comunicative efficaci nei loro confronti.

Dal 2016, FILEF Basilicata si è trasformata in Cooperativa sociale e ha realizzato progetti finanziati dal Fondo FAMI. Ha attivato l’accoglienza integrata direttamente con il Ministero dell’Interno, con il Servizio Centrale (progetti con gli enti locali SAI) e con le Prefetture di Potenza e di Matera.

La Cooperativa sociale è cresciuta notevolmente. Si registra un aumento esponenziale dei CAS (Centri di accoglienza straordinaria), gestiti direttamente dalle Prefetture. Centri che presentano, tuttavia, tutte le criticità organizzative e gestionali. Le criticità individuate sono soprattutto legate ai lunghi tempi delle procedure per l’acquisizione di un permesso di soggiorno o della protezione internazionale. I tempi programmati, anche dei trasferimenti o delle uscite dai Centri SAI (Sistema accoglienza integrazione) o CAS, non sempre vengono rispettati. Ciò è dovuto sostanzialmente ad una carenza di personale addetto ai processi di identificazione e di integrazione degli immigrati.

Dall’esperienza acquisita in questi anni, si evidenzia la necessità di realizzare più centri di secondo livello, per favorire un’efficace integrazione delle varie fasce di immigrati. C’è altresì la necessità di dare un maggiore protagonismo al terzo settore e di attivare nuove assunzioni nei contesti organizzativi considerati strategici, come può essere la Questura. Inoltre si avverte anche la necessità di un maggiore coinvolgimento di altri attori (la scuola, i servizi sociali…) che sono direttamente coinvolti nel processo di integrazione.

Lo scenario politico attuale è probabilmente il peggiore nel quale il movimento antirazzista italiano si possa trovare. Nessuno tra i governi che si sono succeduti dal 1990 in avanti è stato in grado di proporre una risposta che avesse caratteri di razionalità e organicità.

La presenza degli stranieri in Italia è sempre stata trattata come questione di ordine pubblico su cui costruire speculazioni elettorali, giocando sulle emozioni e sulle paure, invece che sulla costruzione di politiche equilibrate, concrete, rispettose della dignità delle persone. L’approccio emergenziale, il continuo allarme sulla sicurezza pubblica di fronte all’arrivo dello “straniero”, la bufala dell’invasione, lo spettro della sostituzione etnica e degli squilibri nel mercato del lavoro costituiscono gli argomenti di una politica demagogica e razzista.

Non esiste invero nessun assalto all’Italia e all’Europa. I flussi migratori mondiali si muovono nell’ambito di quello che chiamiamo “sud del mondo”, che è destinatario del 70% degli spostamenti, tenendo insieme i richiedenti asilo e i cosiddetti economici. Non esiste un unico flusso migratorio Sud-Nord bensì tanti flussi multidirezionali con un evidente aumento di quelli Sud-Sud.

Non esiste solo la rotta del mediterraneo, ma anche quella balcanica. Per non parlare della rotta via terra e via mare dal Messico verso gli USA che conta centinaia di morti e dispersi di cui nessuno parla. La crisi in Venezuela ha prodotto circa 7 milioni di migranti che sono stati accolti nel continente del Sud America, così come la crisi umanitaria di Haiti ha prodotto un flusso migratorio accolto in Brasile ed altri paesi del Mercosur.

Tornando al nostro Paese, in assenza della capacità di legiferare in modo organico e inclusivo, si è quasi sempre utilizzato lo strumento della sanatoria. E, paradossalmente, in passato i numeri delle sanatorie sono stati maggiori con i governi di destra. L’attuale governo sta invece spingendo su politiche di deterrenza, respingimenti, controllo delle frontiere, fino ad arrivare ad evocare lo spauracchio del blocco navale.

Dopo il naufragio di Cutro, nel febbraio 2023, si sono succedute una serie di misure nel segno dei respingimenti e della disumanità: dalla limitazione ai salvataggi in mare da parte delle Ong allo smantellamento del già malandato sistema di accoglienza istituzionale e alla sua sostituzione con una capillare rete di centri di detenzione amministrativa finalizzata al rimpatrio coatto.

Il sistema di accoglienza – articolato tra i CAS gestiti dalle Prefetture, per la prima ed emergenziale accoglienza e SAI per la seconda accoglienza, gestito dai Comuni attraverso il terzo settore – ha visto negli anni dei governi di centrodestra un progressivo sbilanciamento verso i CAS, improntati alle logiche dei grandi numeri e della residenzialità alberghiera priva di servizi, a discapito dei SAI, concepiti invece per l’accoglienza diffusa ed l’assistenza (legale, sociale, sanitaria, per la formazione e lavoro). Ma oggi, a furia del progressivo svuotamento, si è giunti letteralmente al collasso.

Contemporaneamente, sulla base delle pressioni del mondo imprenditoriale, si è messo in cantiere un decreto flussi che prevede 452 mila ingressi nel triennio. Numeri sbandierati come un segnale di grande apertura ma che, nella realtà, non cambiano la prassi consolidata.

I margini per una politica di contrasto non sono vastissimi, tuttavia almeno due potrebbero essere gli impegni su cui spendersi. In primo luogo contribuire a costruire un pensiero critico, contrastando la disinformazione e il terrorismo che vengono diffusi e amplificati senza contraddittorio, relegando spesso l’associazionismo al mero ruolo di barelliere umanitario negando spazio alle proposte alternative basate sul rispetto della persona.

In secondo luogo, ribadire il concetto della cittadinanza come diritto universale concretamente accessibile a chi vive, lavora e nasce in Italia; a cominciare dalle ragazze e ragazzi che studiano nelle nostre scuole. L’attuale legislazione infatti non prevede un diritto soggettivo per i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri o che hanno frequentato un ciclo di studi (ius soli e ius scholae).

Come evidenziato da Eurostat, i figli degli immigrati nati o cresciuti in Italia accedono al lavoro in percentuale dimezzata rispetto ai coetanei italiani e lasciano prima la scuola, dimostrando una minore capacità di partecipazione alla formazione e al lavoro.

Proveremo a perseguire nei prossimi mesi una campagna di controinformazione che parta dal confronto tra le esperienze delle migrazioni italiane e di quelle straniere in Italia, che metta in evidenza l’unicità del fenomeno migratorio e delle politiche discriminatorie. Sarà altresì importante portare nel confronto le reti che si occupano di politiche migratorie.

Oggi più che mai, da soli non si va da nessuna parte. In questo senso, le esperienze di integrazione realizzate nel corso di mezzo secolo dalle nostre strutture all’estero e in Italia possono costituire degli esempi di buone pratiche di ispirazione anche nella situazione odierna.

Coordinamento FILEF ETS

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